Friday, April 19, 2024

Lalla Romano, una lunga vita tra pittura e scrittura. Intervista ad Antonio Ria

coplibrijHo avuto la fortuna di conoscerla e frequentarla, intavolando un rapporto di amicizia basato sulla simpatia e stima reciproche, ma anche su molte affinità.
Scrittrice fra le più interessanti del Novecento italiano, Lalla Romano nasce l’11 novembre 1906 a Demonte, un paesino della provincia di Cuneo.
Conseguita la maturità classica e intrapresi gli studi letterari all’Università di Torino, Lalla Romano preferisce dedicarsi in un primo momento al suo amore per la pittura, frequentando – su consiglio del suo maestro Lionello Venturi – la scuola di Felice Casorati. Esercita per vent’anni l’attività pittorica, accanto a quella della scrittura, mentre lavora come insegnante.
Incoraggiata da Eugenio Montale, nel 1941 esordisce come poetessa con la raccolta di versi Fiore. Successivamente, dopo il suo trasferimento a Milano nel 1947, scrive libri di narrativa, fra cui Le metamorfosi e Maria; ma è il romanzo Le parole tra noi leggere a renderla nota al grande pubblico nel 1969 e a farle meritare il Premio Strega.
La sua scrittura indaga con limpidezza e concentrazione di stile l’esistenza quotidiana, spesso a partire dalla propria, alla ricerca di uno squarcio di verità. I rapporti interpersonali nelle varie stagioni della sua vita, soprattutto quelli col figlio, la riflessione sul senso della memoria e sul legame fra vita e letteratura sono fra i temi ricorrenti nelle sue opere: ne sono esempio La penombra che abbiamo attraversato, Una giovinezza inventata e Nei mari estremi
Fervida romanziera, ha continuato a scrivere fino agli ultimi anni nonostante la cecità progressiva. Si è spenta a Milano il 26 giugno 2001. Il Diario ultimo, pubblicato postumo nel 2006, costituisce la sua estrema testimonianza narrativa.
Approfondiamo la sua conoscenza a colloquio con Antonio Ria (fotografo, giornalista e saggista, per oltre quindici anni compagno di vita e di lavoro di Lalla Romano), che incontriamo nella casa della scrittrice a Milano, nel quartiere Brera.

L’IDEA: Cosa ha spinto Lalla Romano ad abbandonare l’arte della pittura (che praticava da oltre vent’anni e nella quale stava riscuotendo consensi dalla critica) per quella della scrittura?
ANTONIO RIA: Il passaggio di Lalla Romano dalla pittura alla scrittura, a metà degli anni Quaranta, ha molteplici motivi, e prima di tutto una ragione tecnico-logistica. Suo padre era pittore dilettante, così lei cominciò fin da bambina a dipingere e a disegnare. Più tardi, a Torino, durante gli anni universitari frequentò la scuola di Giovanni Guarlotti, un maestro di stampo realista-ottocentesco, e dopo la laurea, nel 1928, entrò alla scuola di Felice Casorati, diventando pittrice professionista. Cominciò subito ad esporre le sue opere, partecipando a molte mostre collettive di Casorati e dei suoi allievi dal 1929 al 1943, ed ebbe due mostre personali: la prima a Torino nel ’37, la seconda a Cuneo nel ’45. Dopo la laurea ha insegnato lettere nelle scuole, è stata direttrice della Biblioteca di Cuneo e scriveva poesie: eppure quella che considerava la sua attività principale, il suo vero “lavoro, era la pittura.  Nel 1941  pubblica il suo primo libro, le poesie di Fiore, che erano state apprezzate da Montale; Pavese le commissiona  per l’Einaudi la traduzione dei Trois Contes di Flaubert, uscita  poi nel ’44. Negli anni della guerra si trasferisce, prima in campagna, poi a Milano, raggiungendo il marito, Innocenzo Monti, dirigente bancario.
In questa complessa fase di passaggio, insieme alle mutate condizioni di vita e al trasferimento in una città nuova, il lavoro sulla prosa di Flaubert fu decisivo per Lalla: lei, che aveva sempre considerato il romanzo come una sorta di passatempo per signore, un genere minore, traducendo questi racconti scoprì che anche la prosa poteva essere poesia, arte, e iniziò a scrivere narrativa, allontanandosi sempre più dal mondo della pittura. Il suo primo libro in prosa è in realtà una raccolta di sogni: Le metamorfosi, uscite nel ’51 sempre da Einaudi.
Bisogna anche dire che dopo la guerra l’arte era molto cambiata, era diventata astratta e lei non vi si riconosceva più. Con i suoi articoli critici però, pur non dipingendo più, ha continuato a esercitare il “mestiere” di pittrice. Visitava le mostre d’arte e scriveva recensioni: collaborava con la rivista fiorentina «Il Mondo», di cui Montale era caporedattore. E ha sempre continuato a disegnare, persino da cieca: a memoria.

ROMANO LALLA-1991  Foto di Marilena Dossena
ROMANO LALLA-1991
Foto di Marilena Dossena

L’IDEA: Come si inserisce il suo stile nel panorama della letteratura italiana ed europea?
ANTONIO RIA: All’origine della sua scrittura vi sono tre grandi maestri francesi: Delacroix, Flaubert e Proust. Lalla Romano considerava la Francia come la sua seconda patria, parlava francese sin da ragazza: è nata ai suoi confini, in alta Valle Stura. Il suo stesso nome, Graziella, viene da un romanzo di Lamartine, amato dal padre…
Quello che possiamo considerare il primo maestro, è non a caso un pittore. All’inizio degli anni Quaranta Lalla tradusse il Journal di Delacroix, un’opera molto ampia da cui operò una scelta che è stata ripubblicata più volte negli anni. Ha sempre considerato questo diario d’artista, in cui tanto si era riconosciuta, il proprio «viatico» alla scrittura.
Di Flaubert, oltre ai già citati e determinanti Trois Contes, in seguito ha tradotto L’éducation sentimentale.
L’incontro – fatale – con Proust lo racconta lei stessa in Una giovinezza inventata. Quando frequentava l’Università di Torino, negli anni Venti, il suo professore di Storia dell’Arte era Lionello Venturi. Fu lui a introdurla all’arte moderna durante un viaggio a Parigi (ricordo qui per inciso che nel 1931, essendosi rifiutato di prestare giuramento al fascismo, Venturi dovrà lasciare la cattedra e si rifugerà proprio a Parigi). La giovane Lalla mostrò a Venturi i suoi dipinti e lui le consigliò di scrivere. Lei rispose che voleva sì scrivere, ma soltanto della sua vita, del suo mondo. Venturi si alzò, andò allo scaffale, estrasse un libro e glielo consegnò: era il primo volume de La recherche di Proust. Dopodiché: «Divorai Combray con l’angosciosa sensazione che il mio libro l’avesse già scritto Proust».
Nella letteratura italiana, certo, amava i classici: si era laureata con una tesi su Cino da Pistoia, sul comodino aveva sempre la Divina Commedia di Dante. Nello stile si sentiva più vicina ai toscani che ai piemontesi – con l’eccezione forse di Pavese – e la sua scrittura ha un carattere molto personale proprio perché deriva dalla poesia: ogni parola è scolpita, con molto silenzio intorno. I suoi libri hanno ampi spazi bianchi che servono al lettore per fermarsi a riflettere sulla propria vita. Ha potuto così forgiare uno stile suo inconfondibile, lo “stile Lalla Romano”, che è riconoscibile in libri anche molto diversi tra loro e innovativi, sperimentali nella forma (penso ad esempio agli album fotografici, i “romanzi di figure”, un genere nuovo da lei inaugurato nel 1975 con Lettura di un’immagine).

A.-RIA--LALLA-ROMANO-copiaL’IDEA: Qual è in Lalla Romano, autrice etichettata spesso come “autobiografica”, il rapporto fra vita e scrittura?
ANTONIO RIA: In lei il rapporto fra vita e scrittura è fondamentale sempre, e fin dall’inizio. La sua scrittura parte dalla sua stessa vita, perché è quella che conosce meglio. Lei ha però sempre respinto la qualifica limitativa di scrittrice autobiografica: l’autobiografia parte da sé e si ferma alla propria persona, mentre la sua scrittura parte da sé per rivolgersi a tutti. La sua esistenza – così come quella del marito, il figlio, la domestica, il nipote… – diventa il paradigma di altre esistenze. È una forma di scrittura che va sempre al di là dell’episodio contingente, dell’aneddotico: può durare nel tempo e reggere il passaggio ad altre lingue, nella traduzioni, perché ha questa costante ampiezza di fondo. Lalla Romano si espone di persona in ciò che fa, in ciò che dice, e da questa esperienza si rivolge agli altri. Così, per esempio, riceveva molte lettere di persone biograficamente e anagraficamente distanti da lei – una fu Elena Croce, figlia di Benedetto – che le dicevano di aver riconosciuto la propria infanzia nella sua, narrata ne La penombra che abbiamo attraversato. Molte donne le hanno scritto di essersi ritrovate, magari a partire da circostanze del tutto diverse, nel suo libro sul difficile rapporto madre-figlio, Le parole tra noi leggere. E così è accaduto per tutti i suoi libri. Partire dalla propria vita per arrivare a quella degli altri, non fermarsi al piano autobiografico: questo, in estrema sintesi.
2008_locandina_romanoL’IDEA: Ci può dire qualcosa sul destino dei manoscritti di Lalla Romano, dei suoi dipinti?
ANTONIO RIA: Tenendo conto di quello che è stato il suo testamento spirituale – «Non mi importa che sia ricordato il mio nome, ma che siano letti i miei libri e conservati i miei quadri» – nel 2005 è stata fondata l’Associazione Amici di Lalla Romano, con lo scopo di promuovere la conservazione dei manoscritti, dei documenti, le lettere, i libri, i quadri, le fotografie d’epoca: per evitare che questo materiale d’autore venga disperso. Si tratta di un patrimonio di straordinaria rilevanza non solo per il percorso intellettuale della scrittrice (e pittrice), ma di uno spaccato quasi secolare – lei è morta a 95 anni, nel 2001 – del mondo letterario ed artistico italiano ed europeo. L’Associazione ha dunque questa finalità, non solo conservativa ma anche propositiva: promuove iniziative per lo studio e la divulgazione dell’opera di o su Lalla Romano, sempre considerata in un contesto ampio e in dialogo con altri autori, idee e forme espressive. Quindi esposizioni, eventi culturali, incontri, convegni, visite guidate…
Ora stiamo fondando un Centro Studi Lalla Romano, con professori provenienti da numerose università italiane. È stato costituito un Archivio Lalla Romano, con sede presso la Biblioteca Nazionale Braidense, a Brera, di fronte alla casa storica di Lalla. Si tratta di una mia donazione allo Stato italiano: oltre 150 faldoni in cui sono raccolti tutti i suoi manoscritti e molti altri preziosi materiali relativi alle sue opere. A questi si aggiungono 65 faldoni di corrispondenza con i maggiori letterati e intellettuali italiani: Calvino, Pavese, Bacchelli, Einaudi, Sereni, Bobbio, Rita Levi Montalcini… un epistolario eccezionale che testimonia i suoi rapporti con tanti protagonisti del Novecento e che può essere oggetto di studio e approfondimento. Dalla sua morte, avvenuta nel 2001, per quasi 15 anni ho accolto nella sua casa studiosi e studenti per le tesi di laurea: ora alla casa, che ancora custodisce una parte significativa della sua biblioteca e dei dipinti, si è aggiunta la Sala Lalla Romano, la prima sala presso una biblioteca pubblica dedicata a uno scrittore. L Sala è insieme sede dell’Archivio, luogo di esposizione permanente di dipinti e disegni di Lalla Romano, centro di studi e ambiente di presentazione e condivisione di iniziative culturali. I suoi libri sono stati tradotti in tutto il mondo.

05--I+é-¦_A_51 L’IDEA: Si tende a considerare Lalla Romano come una figura appartata, in qualche modo estranea al proprio tempo…
ANTONIO RIA: No, Lalla non si è mai estraniata: è sempre stata presente nella vita culturale e letteraria italiana e non solo. Leggeva ogni giorno quattro o cinque quotidiani, leggeva «Le Monde», si informava. Faceva frequenti viaggi in Francia, dove molti suoi libri sono stati tradotti; a volte nella sua “seconda patria” partecipava a trasmissioni radiofoniche. E nella sua città, Milano, aveva legami, amicizie, intratteneva rapporti importanti: frequentava Montale, Sereni, Carlo Bo, Grazia Cherchi, Daria Menicanti e molti altri. Per un anno è stata anche consigliere comunale. Visitava mostre, andava al cinema e a teatro e ne scriveva: sul «Corriere della Sera», «Il Giorno» e altri giornali.
Certo, per scrivere è necessario molto silenzio, molta contemplazione, perciò non partecipava a eventi mondani e non era certo una persona che amasse “chiacchierare”. Ma non si è mai estraniata dalle cose importanti che riguardano la vita di tutti.

Lalla Romano in Giordania, 1989.  Foto di Antonio Ria
Lalla Romano in Giordania, 1989.
Foto di Antonio Ria

L’IDEA: Com’è nato il rapporto fra lei e Lalla Romano? Quando vi siete conosciuti?
ANTONIO RIA: Quando sono arrivato a Milano, nel 1981, io insegnavo. Nella mia classe leggevamo il romanzo di Lalla Romano Tetto Murato e organizzai un incontro della scrittrice con gli studenti. Ci siamo conosciuti così. Avevamo anche degli amici in comune, e ci si vedeva, ci si sentiva spesso. Poi, all’improvviso, suo marito si ammalò. La malattia, un tumore al pancreas, fu fulminante e in soli quattro mesi morì. Oltre che dirigente di banca, Innocenzo Monti era stato un uomo di grande spessore intellettuale e culturale: era stato vicepresidente della Scala; amava la musica, l’arte; aveva fatto acquistare alla Banca Commerciale molti quadri, che ora sono esposti gratuitamente nelle Gallerie d’Italia…
Era il 1984, e Lalla rimase completamente sola. A parte lo sconforto morale, non era abituata a organizzare le faccende della vita pratica e così, poco per volta, ho cominciato ad aiutarla; a volte mi chiedeva di accompagnarla in auto alle presentazioni dei suoi libri. Così è nata la nostra amicizia. Io intanto insegnavo, ero fotografo, avevo collaborazioni editoriali e con la Radio Svizzera. Col passare degli anni lei aveva sempre più bisogno del mio supporto e così ho lasciato progressivamente i miei vari lavori.
Nel 1993 lei ha avuto una malattia importante: sarebbe dovuta rimanere a letto immobile per un intero mese. Mi trasferii da lei per poterla assistere, non solo di giorno, quando c’era la domestica, ma anche di notte. In quello stesso anno ci siamo anche sposati, perché la sua eredità di libri, quadri, mobili (erano stati disegnati da lei nel 1932) non andasse dispersa o fosse venduta dopo la sua morte. Per questo ora la sta donando allo Stato italiano: perché sia conservata per sempre.
Negli ultimi anni era diventata cieca, ed era disperata: come lettrice e pittrice per lei lo sguardo era tutto. Non poteva scrivere né leggere, per cui inventai un sistema: usare grandi fogli bianchi, su ciascuno dei quali anche senza vedere lei riusciva a tracciare frasi, stendere appunti. Scriveva così aforismi, poesie, e una sorta di diario della musica: perché ascoltava molta musica, che considerava la più grande delle arti. Io l’ho accompagnata in questo modo fino alla fine. In seguito ho raccolto e trascritto questi cinquecento fogli (ci sono voluti cinque anni), e così è nato Diario ultimo, la sua ultima opera, pubblicata postuma da Einaudi nel 2006. È stato il mio destino poter conoscere e accompagnare questa grande artista, e darle la possibilità di continuare a scrivere fino alla fine.
Visitando insieme il Louvre, mentre guardavamo i grandi quadri lei mi diceva: vedi, per esempio in questo Watteau l’abito non è stato disegnato… Ho scoperto così il suo passato di pittrice. E nella sua casa ho trovato ovunque – in cantina, persino sotto il letto – centinaia di tele senza cornice. Contro la sua volontà ho iniziato a fotografarle, con l’aiuto di un amico fotografo.     Lalla ne scelse una settantina e si decise di procedere alla mostra e al primo importante volume Lalla Romano pittrice, pubblicato da Einaudi.
Via via realizzammo altre mostre, e i relativi cataloghi. All’inizio Lalla era ancora piuttosto scettica, ma attraverso la stesura dei testi per i tre cataloghi einaudiani, con gli autocommenti ai propri dipinti e disegni e il ripensamento complessivo di quell’esperienza, recuperò la consapevolezza dell’importanza del proprio lavoro di pittrice e della continuità del proprio percorso, arrivando ad affermare: «Come sono vissuta separata dai miei quadri, e soprattutto dall’esercizio della pittura? In realtà io dipingo sempre mentre guardo: allo stesso modo scrivo sempre… Devo compiere il passo definitivo. Riconoscere che la mia pittura era “scrittura”».

 

Antonio Ria nel suo studio. Foto di Marilena Dossena
Antonio Ria nel suo studio. Foto di Marilena Dossena

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Antonio Ria
, fotografo e saggista, è nato ad Alezio (Lecce) nel 1945 e dal 1980 vive a Milano. Laureato in filosofia e in teologia, all’attività di fotografo alterna quella di giornalista e di critico. Ha pubblicato libri fotografici, fra cui La treccia di Tatiana, con testi di L. Romano (Einaudi 1986), Italians in Manchester, introduzione di L. Romano (Musumeci 1990), Poesia diretta (Mazzotta 1992), La doppia memoria. Feste religiose degli italo-americani a New York (Imago 1998), Il cammino della Passione. Il Venerdì Santo a Corleone (Palladium 2010). Per la casa editrice Einaudi ha curato i volumi Lalla Romano pittrice (1993), Lalla Romano. Disegni (1994), Lalla Romano. L’esercizio della pittura (1995). Per Mondadori ha curato il volume Intorno a Lalla Romano. Saggi critici e testimonianze (1996). Ancora con Einaudi ha pubblicato il libro di conversazione con Lalla Romano L’eterno presente (1998) e curato altre sue opere nei “Tascabili”. Nel 2001-2002 ha curato i tre volumi monografici sull’opera pittorica di Lalla Romano: Paesaggi piemontesi; Ritratti, figure e nudi e Nature morte e fiori.
riaboook1Per il centenario della nascita della scrittrice nel 2006/2007 ha curato i volumi postumi Diario ultimo (Einaudi), Poesie per Giovanni (Philobiblon) e La lirica di Cino da Pistoia. Tesi di laurea in Filologia romanza (1928) (Aragno); poi Un paesaggio ritrovato. A Demonte e in Valle Stura sulle tracce di Lalla Romano di Alessandro Vicario (Weber & Weber), Vita di Lalla Romano raccontata da lei medesima di Ernesto Ferrero (Manni), Lalla Romano e la Resistenza a Demonte e in Valle Stura, (Istituto Storico della Resistenza di Cuneo 2013) e molti altri cataloghi di mostre sull’opera letteraria e pittorica di Lalla Romano, fra cui Lalla Romano. La probità dell’arte, con M. Calvesi (Aragno 2008), Lalla Romano e la Valle d’Aosta, con M. Corgnati (Skira 2009) e L’armonia di una vena verde. Il cibo nell’opera pittorica di Lalla Romano, con Gianluigi Colin (Associazione Amici di Lalla Romano 2012).

libri1ASSOCIAZIONE AMICI DI LALLA ROMANO
L’Associazione Amici di Lalla Romano è stata istituita nel 2005 con sede in via Brera 17 a Milano, presso la «Casa Lalla Romano / Centro Studi».
L’Associazione è aperta a tutti coloro che desiderano farne parte: finora hanno aderito un centinaio di soci, fra cui molti amici di Lalla Romano, studiosi, docenti, critici letterari e d’arte, suoi lettori e curiosi che vorrebbero scoprirla.
La finalità è di «favorire la conservazione e la conoscenza dei manoscritti, documenti, lettere, dipinti etc. di Lalla Romano, […], in modo da evitare che sia disperso il patrimonio documentale, di eccezionale rilevanza, per lo studio del percorso intellettuale della scrittrice, sia sotto il profilo letterario che artistico» (art. 2 dello Statuto dell’Associazione).
L’Associazione ha promosso e promuove iniziative per lo studio e la divulgazione della documentazione letteraria e artistica di e su Lalla Romano, spesso in dialogo con altri scrittori: con esposizioni, eventi culturali, letture, incontri, convegni, visite guidate.
Il primo presidente a vita è stato il filologo e storico della letteratura Dante Isella, alla cui morte gli è succeduta l’editrice Rosellina Archinto; vicepresidente e rappresentante legale dell’Associazione è Antonio Ria, che – dalla metà degli anni Ottanta – è stato compagno di vita e di lavoro di Lalla Romano.
PER ADERIRE ALL’ASSOCIAZIONE scrivere all’indirizzo postale di Via Brera, 17 – I-20121 Milano (Italia) o e-mail: [email protected]

Marilena Dossena
Marilena Dossena
Nata a Milano, cresciuta in un ambiente artistico e letterario (il padre Pittore ed il compagno editore e giornalista), ha lavorato in varie Case Editrici e presso l’Università degli Studi di Milano. È stata Vice-Presidente e Responsabile Cultura del CRAL dei dipendenti universitari per 30 anni, organizzando dibattiti su problemi sociali ed incontri con importanti personalità della cultura. È stata, inoltre, Consigliere del Circolo Ambrosiano Meneghin e Cecca per dieci anni, dove ha organizzato conferenze ed eventi musicali. Appassionata di fotografia, ha partecipato a molte Mostre, sia collettive che personali. Sue immagini sono state pubblicate in vari volumi (La storia di Meneghin e Cecca, Lombardia amore mio, Milano: la storia sui muri, Milano o cara: Porta Ticinese), ed in molti quotidiani importanti (Il Corriere della sera, Il Giorno, Il Giornale, la Martinella, l’Intermezzo, ecc.). Le sue preferenze vanno ai volti di personaggi, alla natura in genere ed alle tradizioni popolari (carnevali di Milano, Venezia, Borgosesia, Oleggio, ecc.). Ha inoltre collaborato , con varie interviste a personalità della cultura con i periodici l’Intermezzo, l’Impegno e La Vallèe notizie.

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